Violenza di genere: intervista al Dott. Giulini sulla rivista di Fondazione Archè

Condividiamo con piacere l’intervista pubblicata sulla rivista di Fondazione Archè al Dott. Paolo Giulini, criminologo clinico e Presidente CIPM, centrata sul trattamento degli autori di violenza di genere.

Agli autori di violenza di genere il CIPM offre una possibilità di lavoro non solo dopo la commissione del reato, ma anche in ottica preventiva. “Ciò che facciamo come CIPM (…) è prevenzione sia della vittimizzazione secondaria, entrando in contatto con le persone che hanno iniziato un percorso giudiziario e offrendo loro un intervento trattamentale per evitare che replichino le loro condotte, sia di quella primaria, agendo affinché certe condotte non sfocino in attività di violenza, in ulteriori lesioni dei diritti delle vittime. Lo facciamo attraverso il protocollo Zeus con la Questura di Milano, incontrando le persone che sono state “ammonite”, oppure con il Presidio Criminologico Territoriale del Comune di Milano” ha spiegato il Dott. Giulini.

Perchè si lavora con gli uomini che commettono violenza? “Siamo convinti che sia necessario porre attenzione alla messa in sicurezza della vittima. E ciò si può ottenere conoscendo bene l’autore e le sue modalità di azione. (…) Un percorso trattamentale dell’autore è (…) necessario perchè spesso la narrazione dell’autore non coincide con quelli che sono i suoi atti lesivi. (…) da parte dell’autore manca spesso una presa di coscienza della gravità e della lesività dei suoi comportamenti. E ciò si manifesta nella tendenza a spostare la responsabilità di quanto successo sulla vittima stessa, favorendo così anche una reiterazione degli stessi atti violenti” afferma il Dott. Giulini, e prosegue, “Non siamo lì per cambiare qualcuno quanto per assicurare la messa in sicurezza di chi con questa persona ha e avrà a che fare. E ciò accade, a partire da una piena presa di coscienza dei danni che l’autore ha causato e può causare. (…) Siamo lì ad aiutare queste persone a non ricadere nelle cadute violente e a ricostruire un senso della loro vita, a partire dalle loro fragilità, nella speranza di favorire un maggior benessere nelle loro relazioni interpersonali. A beneficio, anche e soprattutto della sicurezza delle vittime.”

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