“Metti lo stupratore allo specchio” | LETTERADONNA.IT 2017

A partire dal documentario “Un altro me” di Claudio Casazza, il Dott. Paolo Giulini, criminologo clinico e Presidente CIPM, intervistato da LETTERADONNA, ha risposto ad alcune domande in merito al trattamento degli autori di reati sessuali presso l’Unità di Trattamento Intensificato (UTI) del carcere di Bollate.

“Loro nel gergo del carcere si chiamano «infami», in quello tecnico «sex offenders»: sono dentro perché hanno abusato di una donna o di un minore, e, una volta usciti dopo mesi o anni di isolamento, rischiano di commettere nuovamente lo stesso crimine” scrive Giulia Mongolini di LETTERADONNA. Per scongiurare il rischio di recidiva, da anni il CIPM porta avanti un’intensa attività trattamentale all’interno del carcere di Bollate. L’adesione al percorso UTI è su base volontaria e “scegliere di partecipare è come iniziare a guardarsi costantemente allo specchio sapendo che si vedrà qualcosa di molto torbido, sporco, inconfessabile (…) “.

Di seguito un estratto dell’intervista.


D: Qual è il primo passo di questo percorso?
R: Entrare in contatto con la gravità di quello che hanno commesso e con la loro problematicità.
D: Qual è esattamente?
R: Quella che per soddisfare dei bisogni legittimi che abbiamo tutti – di piacere, contatto, padronanza – utilizzano una modalità disfunzionale, errata, perché colpiscono un’altra persona per mezzo di un’aggressione. Hanno condotte devianti, aggressive e violente.
D: Credo sia difficile generalizzare, ma tendenzialmente sono consapevoli della loro problematicità?
R: In molti casi no, infatti presentano spesso meccanismi di difesa molto massicci caratteristici di questa popolazione: di minimizzazione della loro responsabilità (e se minimizzo, va a finire che do colpa alla donna o al minore) e distorsioni cognitive, un aspetto molto presente, che fa fare loro appunto pensieri distorti rispetto alla realtà. Lavoriamo molto su questo.
D: Un esempio di «distorsione cognitiva»?
R: Quando il sex offender ci dice: «La ragazzina di 12 anni mostrava interesse per me». Oppure: «Mentre la abusavo, quella donna sospirava perché provava piacere».

D: Quindi si va oltre l’ossessione per il sesso in quanto tale: il problema è volerlo fare con persone non consenzienti per poterle controllare.
R: Sì, non è semplicemente spiegabile con la fantasia sessuale perversa violenta, ma con aspetti di distorsioni relazionali. È un po’, appunto, come trarre piacere non dall’atto sessuale in sé, quanto dalla modalità di imporsi.


Va bene intercettarli, punirli, ma è importante che questo sistema delle pene sia efficace e li restituisca alla società non congelati con quei meccanismi psicopatologici che sono alla base dei loro atti, ma con un minimo di elaborazione che li permetta di non ripeterli” ha ricordato il Dott. Paolo Giulini. Se non si interviene, durante la pena detentiva si rischia quell’ibernazione penitenziaria che impedisce al detenuto di attivare un’elaborazione rispetto al reato commesso, rischiando di rendere poco efficace la pena in termini di prevenzione della recidiva.

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